Nero è un magazine, ma è anche un progetto più ampio. Curiamo mostre, eventi e progetti in genere, pubblichiamo libri, cataloghi ed edizioni d’artista. In generale quello che ci interessa sono i contenuti specifici e il modo in cui essi vengono presentati. Ogni volta si tratta di un discorso unico, adatto al contesto di riferimento, che si sviluppa all’interno di una visione più ampia. Lo sfondo privilegiato è comunque il mondo dell’arte contemporanea.
Al di là delle differenze di contenuto, credo che la differenza tra NERO e gran parte delle riviste/progetti a cui probabilmente fai riferimento stia nell’approccio alla materia. Noi non siamo e non vogliamo essere un “medium”, non vogliamo rientrare nella categoria dei media in senso stretto ma intendiamo piuttosto il mezzo cartaceo come un contenitore per produrre senso. Così avviene anche per le mostre e i format che pensiamo di volta in volta. Pur di non fossilizzarci in un ruolo prestabilito all’interno della cultura, siamo pronti anche a rinunciare al nostro status riconoscibile di editori, giornalisti e curatori, rimettendo sempre in questione questi ruoli e le loro pertinenze specifiche.
NERO in realtà è un trimestrale, non abbiamo una data esatta di uscita ma il tempo che intercorre tra un numero e l’altro non supera mai i tre mesi. Per il resto, anche se può sembrare un approccio in controtendenza rispetto a quello che sempre più spesso avviene, non vogliamo diventare – come giustamente dici tu – un content-provider per aziende o istituzioni. Come ho già detto, per noi i contenuti rimangono non solo il punto di partenza, ma anche il punto di arrivo. Non è quindi una questione ideologica, semplicemente ci teniamo che le scelte editoriali e curatoriali non siano mai asservite ad uno scopo altro, esterno a noi ed esterno probabilmente anche al richiedente. In questo senso puntiamo più sul progetto e poi sul committente, cercando di trovare ogni volta il committente giusto per il progetto che vorremmo portare a termine.
No, ci sono modi molto più semplici e diretti per fare soldi. In ogni caso riusciamo ad andare avanti, e questo non è poco. I soldi sono d’altra parte l’unica cosa che può mettere in crisi un progetto, sia quando ce ne sono troppi che quando ce ne sono pochi. Fortunatamente, da questo punto di vista, non corriamo quindi nessun rischio.
Lo scopo è molto semplice: arrivare sempre più lontano, ampliare l’orizzonte di riferimento, come quando da ragazzino speri che oltre ad essere conosciuto all’interno della tua classe il tuo nome sia noto anche tra le classi dei piani superiori. Non è solo una questione di import-export, non è una missione. In un certo senso non è neanche solo una questione di ego, si tratta più che altro di creare una risonanza che ampli il discorso e ti permetta di collaborare e sperimentare in modo sempre più ampio.
Per questioni principalmente statistiche e scaramantiche, preferisco non parlare di cose ancora non sicure al mille per mille. E poi l’effetto sorpresa, quando si lavora in campo creativo, funziona ancora come il doping in campo sportivo, ma è legale. Quindi sorvolerei su questa domanda. Posso però dirti che in arrivo ci sono vari progetti, alcuni dei quali anche di un certo rilievo.
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